martedì 31 luglio 2012

E SE STESSIMO CAMBIANDO DAVVERO, NOI ITALIANI?

Frammento di dialogo, colto al volo. Luogo: via Marghera a Milano, mattinata di acquisti pre-ferie. Protagoniste: una mamma (elegante, stile sciuretta milanese) e una figlia (adolescente, mediamente sovrappeso, sobriamente abbigliata). Mamma: "Ma te l'ho detto, ti ho comprato un costume di Dolce e Gabbana!!!!". Figlia (aria infastidita): "Ma cosa vuoi che me ne importi di Dolce e Gabbana??? Per me andava benissimo anche "Mele con Formaggio"....". Fine del dialogo. Beh, direte, che c'è di così speciale. Pensateci. Abbiamo vissuto gli ultimi vent'anni con i nostri figli impallinati con i marchi, vittime inconsapevoli di astuti e diabolici marketing manager: se i jeans non erano di Pincopallo o le scarpe di Cacioepepe ci venivano ributtati in faccia come sogliole andate a male. Anni e anni di Italia cafona e firmatissima, di sottoproletari dell'hinterland che calavano in centro il sabato con orrende magliette inneggianti a questo o quello stilista, terrificanti stracci made in China venduti a prezzi da capogiro a poveretti in cerca di redenzione sociale. Parlo dell'Italia cafona del "VIP watching" (una delle più deplorevoli espressioni di questo tragico Ventennio berlusconiano), del Billionaire, dei sottoproletari irretiti a suon di calciatori, reality show, Veline & Velone, Letterine, Meteorine, Olgettine e tutto il ciarpame televisivo-calcistico con il quale una schiera di manager, pubblicitari, registi, politici d'accatto e altri orridi personaggi senza vergogna hanno intortato e intontito un'intera generazione, decerebrandola e riducendola nel frattempo in miseria (questa sì, "reale"), precari e sottopagati a vita. Ebbene, tutto ciò è finito. Il Billionaire ha chiuso, Briatore si vede in giro di rado, il Mago Voland pluriliftato e pluriparrucchinato anche, le esternazioni di Madame Sado-Santanchè e del suo compare Zio Tibia-Sallusti sono sempre più rare, le "firme" del fashion italico sono quasi tutte finite nelle fauci di emiri arabi o miliardari cinesi, e a noi cosa rimane? A noi rimane la speranza che questa orgia di pacchianeria e vuoto pneumatico spacciato per vero siano finalmente finiti, superati, chiusi. Da inguaribile ottimista, nel dialogo tra madre e figlia di oggi ho colto un segno positivo di rinascita, di nuova sobrietà, di voglia di girare pagina. Mi auguro di non essere smentita
Buone vacanze!

martedì 26 giugno 2012

L'UOMO A RUOTE

Si comincia dal passeggino, si prosegue con il triciclo, poi arrivano in rapida sequenza  la macchinina, il monopattino, gli skates, la bicicletta, il motorino, la prima auto, il suv, il camper. Già prima di nascere, nell'accogliente pancione materno, l'uomo si abitua a muoversi parassitariamente, sempre grazie a qualcos'altro: in genere, le ruote. Darwinianamente, ci evolveremo in una razza provvista di rotelle, là dove un tempo spuntavano gambe. La teoria è confermata da un fenomeno strisciante, ma conclamato: la progressiva sparizione dell'habitat del pedone, lui sì "specie a rischio" da proporre al WWF. Fateci caso: sui marciapiedi chi procede sulle proprie gambe è ormai una minoranza. Sfrecciano - mettendo a rischio la sua sopravvivenza - tutta una serie di nuovi animali metropolitani : ciclisti arroganti cellumuniti, monopattini instabili, motorette in cerca di parcheggio, strani esemplari di bighe a motore cavalcate da seri professionisti dall'aria compunta... E' inutile: il pedone non è di moda. Altrimenti come spiegarsi il fatto che il vecchio, rassicurante marciapiede (che infatti anche nell'etimo pareva riferirsi a quelle estremità così desuete) si sia poco a poco trasformato in "marciagomma"? Tutte le razze sopra elencate, tra l'altro, ostentano un livoroso disprezzo per chi continua a usare, per muoversi,  il "caval di San Francesco" (ah, quanta poesia in questa definizione d'antan....), tant'è che l'aggressione verbale per il malcapitato che non sente arrivare da dietro il ciclista inferocito e saettante - e del resto, mica ha gli specchietti retrovisori, lui - è assai diffusa. Che tristezza. Mi piacerebbe scrivere al buon Pisapia - che tanto tiene alla causa dei bikers (si dice così adesso) - perché dall'alto del suo scranno volgesse uno sguardo misericordioso anche a noi tapini che trasciniamo le suole sui marciapiedi lordi e polverosi di questa città. In fondo, anche noi siamo esseri umani.... Per ora.

sabato 2 giugno 2012

DIAMOCI UNA CALMATA, SORELLE

Non mi piace ammetterlo, ma ormai è una certezza: negli ultimi anni le donne sono diventate più astiose e aggressive degli uomini. Sarà la fretta da troppe incombenze (le femmine italiane godono del triste primato di occuparsi della famiglia circa 3 volte più delle loro consesse nel mondo), sarà la nevrosi da acrobate della gestione del tempo, sarà che la vita a Milano è un inferno, ma ogni volta che un clacson mi invita brutalmente ad affrettare il passo sulle strisce o a partire a razzo al semaforo, 8 su 10, si tratta di una donna. E' una grande delusione. Ho sempre pensato che avremmo portato nel vivere civile un modo più rilassato, urbano e mite di affrontare le inevitabili difficoltà quotidiane. Invece, siamo quasi più assatanate degli uomini: gridiamo insulti irriferibili se qualcuno ci fa un dispetto viabilistico, sgommiamo come stuntmen in inseguimenti automobilistici che finiscono poi risibilmente al semaforo successivo, siamo incazzate anche in bicicletta (quante di noi smoccolano contro i poveri pedoni che intralciano le nostre due ruote nelle riserve indiane assediate dei marciapiedi cittadini...), sbraitiamo come ossesse al cellulare, pilotiamo come fossimo a Daytona i passeggini (o meglio passeggioni...) dei nostri pargoli... Insomma, siamo un disastro. Dov'è finita la nostra "differenza"? Invece di sgretolare dall'interno il modello maschile, competitivo e arrogante, ci siamo adeguate ad esso fino al punto da incorporarlo e farlo nostro. Perché le donne, quando imitano gli uomini, riescono ad essere anche peggiori. Vorrei proporre una riflessione: fermiamoci un momento. E cerchiamo di ritrovare la nostra diversità, quella che per tanti anni abbiamo rivendicato con orgoglio. Vogliamo il pane e le rose. Vogliamo le nostre giuste soddisfazioni professionali, ma restando femminilmente pacifiche, solidali, empatiche con il mondo. Lo so, non è facile. Ma proviamo a farlo partendo dalle piccole cose: istituiamo una specie di "fair play rosa", dappertutto. In auto, al lavoro, al supermercato. Non priviamoci della nostra grande capacità di accettare, sostenere, trasformare. Non rinunciamo a cambiare il mondo, creandone uno finalmente a misura d'uomo. E di donna.

lunedì 7 maggio 2012

LA TV SPLATTER


Chiedo scusa per l'orrenda immagine qui sopra: no, non sono membra umane quelle che vedete accatastate in questa specie di quadro di Grosz, ma "solo" quelle dei nostri amici maiali, vittime della nostra ingordigia carnivora. Mi serve per introdurre un discorso che da tanto tempo volevo affrontare su questo blog: le immagini cruente (inutilmente cruente) che la televisione ci propina quotidianamente. Non appena avviene qualche fatto di cronaca nera - e di questi tempi le occasioni non mancano - ecco arrivare le immagini splatter. Un camorrista viene fatto fuori a rivoltellate? Beccatevi una ripresa ravvicinata delle macchie di sangue sull'asfalto. Una donna (una delle troppe) viene assassinata a coltellate dal marito? Eccovi servito un bel primo piano delle impronte sanguinolente che la poveretta ha lasciato sulla porta d'ingresso.... C'è una qualche necessità documentativa e/o informativa dietro questo sadismo visivo? Assolutamente no. Non c'è alcun bisogno di mostrare ciò che ormai siamo assuefatti a vedere ogni giorno al telegiornale, mentre chiacchieriamo con coniugi e figli, tra un cucchiaio di minestra e l'altro o (peggio) mentre tagliamo la nostra bistecca poco cotta (ah, quel filo rosso che cola e fa assonanza...). C'è solo il desiderio ferino e primordiale di farci vedere il sangue, le ossa fracassate, il rottame dell'auto accartocciata, la bicicletta del bambino contorta, la scia rossa lasciata sul marciapiede da un corpo morente.
Questa orgia di immagini brutali non serve a nulla. Anzi. Ci abitua fin da piccoli alla violenza, alla visualizzazione crudele della ferocia umana, all'epifania sconcia dell'antico e sempre attuale "homo homini lupus". Poi non c'è da meravigliarsi se le belle famigliole italiane vanno in gita horror nei luoghi resi sinistri da fatti di cronaca nera: gente che si fa fotografare davanti alla baita di Cogne, o ad Avetrana, o sorridente contro lo sfondo della nave Costa spiaggiata al Giglio. Roba da splatter addicted, come ormai siamo diventati in molti, qui nel cuore nero d'Italia.
Che possiamo fare noi?
Proviamo a inviare mail a tutti i mezzi d'informazione che ci propinano queste scene truculente, chiedendo che facciano informazione e non voyeurismo da necrofili.
Oppure, se si tratta di carta stampata, colpiamoli in ciò che hanno di più caro (il bilancio) non acquistandoli più.
Questo solo, oggi, possiamo fare.
Ma, se ci pensiamo, non è poco.

venerdì 27 aprile 2012

giovedì 26 aprile 2012

Cari amici,
eccomi di nuovo qui, caricata a molla dopo gli ultimi scandali politici di casa nostra... Una palla mortale, a ben guardare: sempre gli stessi squallidi figuri (lombrosianamente, chi si potrebbe fidare di uno con la faccia di Belsito??), gli stessi vizi da neo-arricchiti di provincia (porsche, diamanti, resort, bagasce...), le stesse scuse penose ("non ne sapevo niente", "l'hanno fatto a mia insaputa"). Ma la cosa che, ho scoperto, li accomuna tutti, i potenti di casa nostra, è la "sindrome di Dorian Gray". Vi ricordate il famoso romanzo di Oscar Wilde, dove i sordidi vizi e le efferate perversioni del protagonista corrompevano solo il suo ritratto, lasciando il suo bel viso angelico mondo da ogni macchia? Ebbene, da noi succede il contrario: tutti i vizi, i tic, le connivenze, gli accomodamenti, le cialtronerie, le arrogantate dei nostri satrapi si stampano subito sui loro visi, degradandoli progressivamente. Vi ricordate com'era Renzi "il rottamatore" ai suoi esordi? Un putto michelangiolesco, paffuto e rubicondo. Ora nèi, macchie e pustole hanno cominciato a corrodergli il visetto dal sorriso volpino, mentre il suo arcinemico D'Alema ormai da tempo mostra un sembiante rinsecchito da quaresimale, corredato da protuberanze e porri da abuso di potere (uno che sta seduto in Parlamento da quasi mezzo secolo, ne ha viste e fatte....). E la galleria potrebbe continuare a lungo: Veltroni e i suoi orridi peduncoli, Berlusconi tutto ponfi e bitorzoli, la vitiligine geografica di Cossiga, le macchie da senescenza di Napolitano, per non parlare della tragica maschera tutta buchi e cicatrici di Martinazzoli buonanima, per questo soprannominato "l'ergastolano".... Ma anche i potenti giornalisti italiani non scherzano: si va dal pallore cadaverico di Ferruccio De Bortoli (mi rifiuto di assegnargli il "de" nobiliare che egli vezzosamente si attribuisce, essendo evidente che si tratta di un patronimico del tutto popolaresco: figlio di Bortolo), al viso lunare di crateri acneici di Aldo Cazzullo (altro cognome che fa pensare), alle escrescenze di Enrico Mentana... E mi fermo qui.
La domanda è: ma con tutti i quattrini che guadagnano - in qualche non raro caso anche fraudolentemente - non possono rendersi almeno guardabili? Cercare quantomeno di non suscitare in noi il ribrezzo?
Dopo averli guardati e riguardati, abbiamo solo un desiderio: non rivederli più.
Antipolitica? No. Solo disgusto. In tutti i sensi.
A casa, a casa. 
E poi, che arrivi finalmente qualcosa di nuovo.



mercoledì 18 aprile 2012

VITA DA CANI

Cari amici vicini e lontani, dopo un'assenza lunga e disagiata dovuta a lavori di ristrutturazione domestica, eccomi di nuovo nella blogosfera. Nel mio forzato allontanamento da casa, sfollata nella triste e trista Milano, ho avuto modo di apprezzare un fenomeno montante: la moltiplicazione esponenziale dei cani. Fino a qualche tempo fa, ce n'erano parecchi, è vero, ma non erano un'orda tracimante da ogni anche minuscolo fazzoletto di verde, tenuti al guinzaglio da orgogliosi proprietari che parlano tra loro degli amatissimi "pets" (non pensate male, è solo la versione inglese di "animali da compagnia") come fossero adepti di una nuova religione. Bisogna stare attenti, in Italia, a parlare di cani: se solo vi scappa una parola di troppo, capace che vi accusano di essere dei Mengele, crudeli persecutori di quadrupedi, torturatori di creature innocenti. Io - per la cronaca - apprezzo molto gli animali, soprattutto quando li incontro nel loro habitat. Un po' meno quando infestano il mio. Mi spiego. Trovo innaturale e vagamente inquietante che una città così arcigna con i nostri cuccioli naturali (i bambini), privati di spazi, ossigeno e luoghi dove correre, riservi tanta cura e devozione ai cani: guardatevi attorno, vedrete i pochissimi angoli verdi cittadini invasi da una moltitudine di animali,  imbrattati da una quantità enorme di cacche, dove correre o camminare è a rischio, mentre il poco che c'è viene sottratto all'uso umano con recinti appositamente dedicati ai cosiddetti "amici a quattro zampe", che poi tanto amici non sono, visti anche i non rari episodi di aggressione. A voler fare un discorso psico-sociologico, trovo ci sia qualcosa di malato in una città dove si uccide un tassista che inavvertitamente investe un cagnetto. Intendiamoci: io non ce l'ho con loro, poveri animali forzatamente inurbati, costretti a vivere in promiscuità col genere umano in appartamenti a stento bastanti ai loro padroni e totalmente inidonei alle loro esigenze. Ce l'ho con i proprietari, che incuranti delle esigenze canine ma anche dei loro simili, li fanno vivere male e nel contempo cacare ovunque, ben raramente preoccupandosi (come sarebbero tenuti per legge a fare) di raccogliere i loro "regalini" (si fa per dire, ho visto escrementi di proporzioni gigantesche...). Per non parlare di tutto quel compiacimento ostentato: "ah, signora, il mio capisce tutto... Mi basta guardarlo e lui risponde". Mah. Penso sempre che se i cani potessero parlare, ne sentiremmo delle belle. E poi, se tutti in città avessero il loro bel quadrupede d'ordinanza (come ormai sembra profilarsi), come la metteremmo? Assisteremmo a lotte fratricide per la conquista dell'ultimo metro quadro di parchetto? Dovremmo muoverci con gli sci ai piedi? Istituire un servizio di vigilanza canina? Che vi devo dire, questo proliferare mi preoccupa: la natura sta morendo e le città si riempiono di cani. Vorrà pur dire qualcosa. Per ora, comunque, la proverbiale "vita da cani" la facciamo noi pedoni, facendo lo slalom sui marciapiedi e sui pochi prati spelacchiati della metropoli. Vorrei istituire l'Ente Protezione Pedoni. Che ne dite?