mercoledì 22 dicembre 2010

IL POTERE DEL SORRISO

Cari Amici,
ho avuto modo di sperimentare - in questi giorni convulsi prima di Natale - quanto sia grande e portentoso il potere della gentilezza. Anche nelle città nevroticamente indaffarate come Milano, dove i passanti si aggirano frenetici per negozi urtandosi con malagrazia e gli automobilisti strombazzano anche alla minima esitazione, si può e si deve portare un esempio positivo. E' inutile lamentarci per l'invivibilità che sembra regnare nel nostro habitat se non siamo disposti - noi per primi - a invertire la rotta e mutare profondamente i nostri automatismi comportamentali. L'ho verificato di persona: ho risposto con un sorriso a chi mi urtava, ringraziato con calore chi mi prestava un servizio (la cassiera del supermercato, il benzinaio, la commessa...), fatto un cenno di riconoscenza all'automobilista cortese che mi lasciava il passo nonostante la follia del traffico, aiutato la persona davanti a me in fila alle casse a mettere sul nastro i suoi acquisti mentre riempiva i sacchetti (tra l'altro si velocizza enormemente la coda, con beneficio di tutti e pochissima fatica)....In una parola ho cercato di portare un po' di umanità là dove pare proprio che sia sparita. I risultati sono stati immediati. L'aggressività si stempera, si ritorna a dialogare, si smorzano i cattivi umori, la qualità della vita migliora. I nostri simili sono come gli specchi: riflettono ciò che hanno di fronte. Se facciamo la faccia dura, è molto probabile che ci verrà ricambiata con uguale se non maggiore intensità. Se invece - anche nella frenesia generale che ottunde ogni residua sensibilità - riusciamo a conservare la nostra empatia per il mondo, la nostra disponibilità a vedere nell'altro non un nemico da cui difendersi, ma un "sosia" che ci assomiglia così tanto da confondersi con noi, ecco che il nostro atteggiamento cambia. Ricordiamoci che questo è anche il motto di questo blog, "Cambiamo noi": la speranza che, sommando tanti singoli comportamenti virtuosi, si pervenga a un cambiamento globale che porti pace e serenità a un livello più alto, per tutti. E' questo, per me, lo spirito del Natale. E con questa esortazione, certa che il mondo sarà migliore se noi per primi saremo migliori,  vi saluto e vi auguro un nuovo anno pieno di buoni propositi realizzati!

martedì 30 novembre 2010

LA CULTURA DELLA GUERRA

Mi è capitato qualche giorno fa di curiosare in un grande magazzino: tanto per non far nomi, Coin di corso Vercelli a Milano. Tra i giocattoli in bella mostra, ho notato un'intera sezione dedicata alle armi da guerra, tutte in formato ridotto, ma corredate da inequivocabili scritte: "FUCILE DA ASSALTO", "PISTOLA A RIPETIZIONE", riproduzione da originale in dotazione all'Esercito Italiano, con tanto di bandierina tricolore... E - ciliegina sulla torta - la scritta "non adatto a bambini inferiori a 3 anni". Meno male! Credevo che tali oggetti venissero messi direttamente nella culla del neonato, così capisce subito dove è capitato... La cosa mi ha sconcertato parecchio, se si tiene conto di tutte le ipocrite dichiarazioni sulla pace cui assistiamo quotidianamente. Poi, il consumismo che impera ormai sul Natale e su ogni forma di attività umana, provvede a riportarci alla realtà: l'importante è SPENDERE, al diavolo la morale. Altro che il bambin Gesù e le carole!Mettiamo nelle mani di bambini (maschi e portatori di una cultura di violenza che perdura a dispetto di qualsiasi evoluzione culturale) strumenti di morte e simboli di un retaggio ancestrale che dovrebbe essere bandito - almeno nelle intenzioni - nelle nostre "progredite" metropoli occidentali. La guerra è una faccenda che mostra sempre di più la sua natura primitiva, la sua incapacità di risolvere i conflitti, la sua sostanziale antistoricità... Eppure, il buyer del Gruppo Coin si è sentito assolutamente a suo agio nel proporre alla sua clientela (immaginiamo moderatamente acculturata, moderatamente benestante, moderatamente "buonista") questi orrendi oggetti perchè ne facciano un bel pacchetto da mettere sotto l'albero per i loro pargoli. Complimenti. Perché non mettere anche belle riproduzioni a grandezza naturale di bombe a mano, mine antiuomo o patiboli?
Ho chiesto di parlare con il responsabile del punto vendita per manifestargli la mia indignazione per una scelta così aberrante. Mi è sembrato sinceramente contrito. Ha preso l'impegno di riferire il mio disappunto ai vertici aziendali. Spero lo farà. Intanto, intorno a me, si era radunata una piccola folla di mamme e nonne in shopping natalizio che hanno sostenuto la mia posizione. Rifletto: ma se in Italia il ministro La Russa spende 150 milioni di euro per 4 caccia bombardieri e il ministro Bondi ne taglia altrettanti alla cultura, non vi colpisce la relazione?
Buon Natale. E che il Dio della pace ci aiuti.

domenica 21 novembre 2010

L'AGRICOLTURA STA SPARENDO?

Girando per le campagne lombardo-venete ho notato una miriade di vecchie cascine in abbandono, quasi sepolte tra capannoni e svincoli autostradali, come relitti di un gigantesco naufragio. Questa visione mi ha fatto riflettere sulla progressiva sparizione - sempre più accelerata - di campi coltivati, orti, frutteti e di quei presìdi del territorio che erano le vecchie case coloniche. Il nostro paesaggio, fino a 50 anni fa così omogeneo e "leggibile", è stato travolto e sfigurato da una colata di brutte costruzioni senza estetica e, spesso, senza alcuna utilità, come testimoniano i numerosi striscioni "affittasi" o "vendesi" che costellano queste brutture senza acquirenti. A parte l'ovvio sospetto che si tratti di interventi edilizi fini a se stessi, cioé utili solo a riciclare denaro sporco, rimane da chiedersi quando finirà questo insensato consumo di suolo, che fa retrocedere sempre più la nostra agricoltura. Non voglio addentrarmi in considerazioni filosofiche, ma restare in un campo che conosco: l'agricoltura è la vera sentinella del territorio. Solo questa attività permette infatti un vero e proprio lavoro di "manutenzione" del suolo, controllandone le acque superficiali, impedendo il degrado ambientale, esercitando una salutare quanto fondamentale "custodia" del patrimonio naturale che appartiene a tutti. Guardo con molta preoccupazione alla progressiva marginalizzazione dell'attività agricola in pianura padana, un tempo modello di buona gestione del territorio. Mi chiedo dove andremo a rifornirci degli alimenti indispensabili alla nostra sopravvivenza. Saremo costretti a indebitarci ulteriormente comprando dai paesi esteri? Daremo un'altra spallata all'ambiente facendo viaggiare le merci su gomma con il conseguente inquinamento, oltre all'intasamento delle nostre strade già così congestionate? A me pare che in questo settore manchi una volontà a livello politico di incoraggiare e sviluppare la nostra agricoltura. E lo dimostrano le reiterate manifestazioni dei coltivatori diretti e degli allevatori degli ultimi mesi. Cosa possiamo fare noi per contrastare questa deriva che minaccia di soffocare la nostra agricoltura e degradare irrimediabilmente le nostre residue bellezze? Abbiamo un solo, potente strumento: il nostro potere di acquisto. Usiamolo. Compriamo prodotti agricoli a kilometro zero dai nostri amici contadini che ancora resistono, associamoci in gruppi d'acquisto solidale, privilegiamo sempre l'agricoltura di prossimità, evitiamo le grandi catene distributive che seguono logiche di puro profitto (avete fatto caso che nei supermercati i prodotti freschi arrivano spesso dall'estero o da zone depresse, dove evidentemente si strozzano i contadini con prezzi risibili?), facciamo i nostri regali di Natale nei reparti alimentari del commercio equo e solidale... L'agricoltura deve vivere per farci vivere tutti meglio. Salviamola.

giovedì 21 ottobre 2010

ANCORA MALEDUCAZIONE

Cari amici, dopo una lunga pausa estivo-autunnale (dovuta a qualche guaio di salute, in via di superamento), torno a scrivere su questo blog per parlare - ancora una volta - di maleducazione. Fateci caso: anche le persone più acculturate, che almeno in via ipotetica dovrebbero disporre di tutti gli strumenti per comportarsi civilmente, scivolano in un degrado generale di cafoneria, che si riflette e si allarga a tutto il contesto nazionale. Esempi? Quasi più nessuno mette una mano davanti alla bocca quando starnutisce, o tossisce, o sbadiglia, mostrando dentature spesso orribilmente malandate e lingue patinate di licheni verdastri.. Per non parlare della pessima abitudine di bere a canna direttamente dalla bottiglia, per poi riporla tranquillamente in frigo e offrirla da bere agli amici in visita, corredata dalla saliva del padrone di casa e dei suoi ineffabili familiari. Mi è capitato di declinare inorridita una simile offerta, dopo aver visto il tipo di comportamento che ho descritto sopra. Sembra incredibile, vero? Eppure, è un comportamento largamente diffuso, che ormai non fa più notizia. Mah. Davvero i nostri concittadini sprofondano irrimediabilmente verso una barbarie generalizzata. Ma noi non dobbiamo cedere all'andazzo generale. Difendiamoci da questi trogloditi di ritorno con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione: facciamogli notare le loro nefandezze, rifiutiamo scandalizzati la bottiglia tracannata da tutta la "bella famigliola italiota", richiamiamo all'uso delle buone maniere chi pare essersene dimenticato.... Non soccombiamo alla marea nera della maleducazione, che pare davvero - come il pozzo petrolifero al largo della Florida - non trovare mai il "tappo" giusto. Ma il tappo, credetemi, siamo noi.

martedì 6 luglio 2010

E' ESTATE: LA MATTANZA, FISICA E NON, DELLE DONNE

Lo dico con tristezza: questa è una stagione che con il caldo torrido e l'impazzimento generale, porta anche con sè la tragica serie di omicidi di cui sono vittime soprattutto le donne. Una vera mattanza. Strangolate, sgozzate, sparate, buttate in un canale, suicide per sfuggire a uno stupratore, le donne sono oggetto di una persecuzione che dovrebbe suonare come un campanello d'allarme sul degrado generale dei rapporti tra maschio e femmina qui in Italia, paese patriarcale e maschilista come nessuno. La causa scatenante di questi delitti è infatti quasi sempre una sola, declinata in cento modi diversi: la non acquiescenza al volere di un maschio. Che si tratti di un rapporto sessuale rifiutato, o di una relazione che non si vuole più portare avanti, o di uno spasimante che non si vuole accettare, o di una gelosia che non si può più sopportare, la ragione pressocché unica di queste barbare "rese dei conti" è che il maschio italiano non sopporta di confrontarsi con una volontà femminile che gli si oppone. Qui sta la sua intrinseca miseria e fragilità. Duro in auto, allo stadio, al lavoro, ma tragicamente debole nei suoi rapporti con il femminile, che regge solo se basati sul suo potere assoluto. E' meno banale di come si vuole farlo apparire, questo sentimento generale che aleggia - in modi più o meno tragici - nelle relazioni tra i sessi: esso affonda le radici nello strato tribale, preistorico, profondo del sentire nazionale, quello che ci ha portati solo 50 anni fa a eliminare dal codice penale il vergognoso articolo che giustificava il cosiddetto "delitto d'onore" e che - ancora pochi giorni fa - ha fatto dire alla Cassazione che un marito è autorizzato a picchiare la moglie se questa è "ribelle". Una sentenza barbara, che ci colloca agli ultimi posti nella graduatoria dei paesi civili. Ma non ci sono solo questi casi estremi: nella vita quotidiana, ciascuna di noi sperimenta l'attitudine svalutativa dei propri partner, siano essi mariti o semplici compagni di vita, con i quali si fa un pezzo di strada insieme. Uomini ipercritici, mai contenti di come siamo, alla ricerca disperata di pretesti per farci sentire "sbagliate", inadeguate, da trasformare in altro. Che si tratti di pettinature, abiti, comportamenti, talenti, gli uomini sono sempre pronti a criticarci, a demolirci, a sgretolare le nostre certezze. Caso tipico estivo: lui che critica il nostro aspetto fisico alla prova-costume, essendo spesso sovrappeso, se non obeso, frequentemente calvo e quasi sempre assai meno giovanile di noi. Vere e proprie wet blanket che - con spirito di autodistruzione - ci portiamo appresso, con fatica, solitamente senza averne protezione, ma solo denigrazione e mortificazione. Masochismo puro.
Che fare, dunque? Cambiare. Cominciare a pensare a noi stesse in termini positivi, sentirci pronte a pretendere il riconoscimento del nostro merito, delle nostre qualità, cercare maschi evoluti che ci apprezzino per come siamo e ci gratifichino, che ascoltino con attenzione quel che abbiamo da dire, che ci facciano sentire quello che siamo veramente: importanti, indispensabili, vitali. Impariamo a diffidare da chi ha paura della nostra libertà, della nostra voglia di vivere, di chi è invidioso o geloso di ciò che siamo: trionfalmente, felicemente, risolutamente DONNE.
Buona estate a tutte... e arrivederci a settembre!

lunedì 21 giugno 2010


VELOCITA', MITO IN DECLINO

"Ahò, ma 'ndo cori? T'aspettano ar cimitero?", chiedono con smagato sarcasmo i romani ai sempre affannati milanesi, che corrono anche quando non serve (cioé quasi sempre). Guardo con distacco da entomologo i miei simili agitarsi come formiche impazzite nei formicai delle nostre città: movimento insensato, traiettorie imcomprensibili, frenesie senza motivo. Perché corriamo? Calma, ragazzi. Fermiamoci un attimo a riflettere. Nove volte su dieci corriamo perché tutti corrono, per puro spirito gregario. Solo in alcuni casi la velocità è necessaria. Ma càpita di rado. Corriamo per dimostrare qualcosa? Qualche volta. Per esempio, in macchina. Per far capire che la nostra auto è più potente di quella degli altri. E' un sintomo più maschile, ma sta contagiando anche le donne. Corriamo per far capire che siamo fighi? Sì, spesso. Per dimostrare mente pronta, riflessi scattanti. Correre è spesso un modo per ostentare potere. O almeno così era fino a qualche anno fa. Perché ora si fa largo un nuovo modo di essere "fighi": quello di concedersi il supremo lusso della lentezza. Ha cominciato Slow Food (in antitesi al fast food, decisamente fuori moda e relegato a fenomeno da terzo mondo), poi sono arrivati i viaggi slow, le città slow, i vini slow e via enumerando. Il vivere slow è ormai un manifesto filosofico, un modo di vivere, un'appartenenza. Vi ricordate la tipica frase Anni Sessanta: "Ueh, ho fatto Milano-Genova in un'ora, casello-casello!". Adesso, chi mai la direbbe senza rischiare di apparire terribilmente datato? Sembra una sciocchezza, ma dimostra quanto si sia evoluto il nostro atteggiamento molto più di qualsiasi analisi sociologica. La lentezza sta - lentamente, come si conviene - prendendosi la sua rivincita. Sempre più persone amano fare turismo lento in bici o a piedi. Il Camino di Santiago (800 km da percorrere rigorosamente a passo d'uomo) non ha mai conosciuto tanti proseliti, nemmeno del Medio Evo. Hanno iniziato le avanguardie cultural-sociali (come sempre), ma il cambiamento sta penetrando profondamente nella società, di pari passo con il declino dell'emblema stesso della velocità: il motore a scoppio. Un vecchio arnese futurista celebrato da Balla un secolo fa, che sta per andare in pensione, sostituito da un'altra modalità di spostamento più rispettosa dell'ambiente, delle nostre orecchie, dei nostri ritmi naturali. Sarà una rivoluzione lenta, ma costante. E il nostro mondo frenetico diventerà, un po' alla volta, un ricordo di cui sorridere, tra cent'anni, quando i nostri nipoti innaffieranno i fiori messi a dimora nell'auto di nonno Paolo, in giardino.

martedì 25 maggio 2010

RICOMINCIAMO A SORRIDERE




Cari amici, lo confesso: sono un po' delusa. Come mai non trovo più i vostri commenti? Vi ho molto annoiato? I miei sono brontolii da pentola di fagioli, inutili e deprimenti? Ricevo mail dai più stretti sostenitori, ma nulla dal resto del mondo. Consiglio: invece di mail personali, almeno voi affezionati visitatori, mandatemi commenti sul blog! Magari servirete da buon esempio anche per altri... La speranza è l'ultima a morire.
Ma non è di questo che volevo parlarvi oggi. Nel solco degli intenti dichiarati di questo blog ("Cambiamo noi") volevo mettervi a parte di un piccolo esperimento che sto portando avanti: da qualche mese, ho smesso di indossare l'abituale corazza + celata che nasconde le mie cordialità e ho iniziato a chiacchierare con i miei concittadini ad ogni minimo pretesto. Chessò: il tram non arriva, piove a dirotto da mesi, gli interisti festeggiano devastando di rifiuti piazza Duomo a Milano, ogni occasione è buona per attaccare bottone con passanti sconosciuti. E poi sorrido: alla vecchia signora che si allunga per prendere il detersivo sul ripiano troppo alto, alla ragazza che chiede un'informazione, al barista che mi fa il caffè. E poi ancora, saluto: il giornalaio, il negoziante sotto casa, la cassiera del supermercato, lo stradino che raccoglie le cartacce incivilmente buttate a terra, il peruviano che consegna il pacchetto parcheggiando il furgone in quarta fila.... L'attitudine cordiale è contagiosa. Vedremo aprirsi sorrisi, consolanti e radiosi come il sole dopo il nubifragio (e di questi tempi ne sappiamo qualcosa). Ci accorgeremo che anche i più trucidi concittadini nascondono un'anima sensibile e che tutti, ma proprio tutti, non aspettano altro che ritornare a sentirsi comunità. Perchè ognuno soffre della glaciazione che permea le nostre relazioni con il mondo, tutti avvertiamo con sofferenza il gelo astioso che opprime le nostre città. Ma manca la voglia o forse il coraggio di rischiare il sorriso, il prestito dello zucchero alla vicina, la battuta, l'empatia verso il prossimo. Eppure è da lì che dobbiamo ripartire. Si comincia da piccoli gesti di apertura. Cambiamo noi. Senza aspettare sempre che siano gli altri a farlo. Funziona. Provare per credere.

giovedì 13 maggio 2010

LE MOSTRE E I NUOVI MOSTRI

Cari lettori e amici, devo tornare una volta di più sul tema "i cari angioletti", già affrontato in questo blog. Mi è capitato qualche giorno fa di "tentare" di visitare la bella mostra "I due imperi", al Palazzo Reale di Milano. Dico "tentare" perché - per somma sfiga - ho avuto per compagni di visita un terzetto così composto: mamma di una trentina d'anni, marito o f.f. (facente funzioni) di 50-55 (rispettando l'ormai consueta tradizione dei babbi-nonni) e un bambinello di 2-3, figlio di entrambi. Orbene, la visita - che pregustavo calma e riflessiva, avendo scelto un giorno feriale e un orario in controtendenza, le 13 - si è rivelata una vera tortura. Impossibile leggere le didascali (fondamentali per capire l'ardito raffronto tra l'impero cinese e quello romano, in verità un po' tirato per i capelli..), impossibile concentrarsi sull'osservazione dei reperti, peraltro molto interessanti anche se "difficili", come quelli cinesi. C'erano anche i famosi "guerrieri di terracotta", provenienti da Xian, un luogo che forse non vedrò mai, e quindi doppiamente preziosi. Niente da fare. Il pargolo - al quale venivano spiegati uno ad uno gli oggetti esposti, ad alta voce e con la tipica cantilena dei genitori pedagoghi (una rottura pazzesca!) - dopo un po' si è giustamente seccato e ha iniziato a fare un baccano infernale. Pensate che i genitori abbiano deciso di darsi il cambio, uno portando fuori il figlio urlante e l'altro continuando in santa pace la visita? Niente affatto. Hanno continuato imperterriti a girare per le sale, trascinando il bimbo ormai ingovernabile e disturbando gli altri visitatori, che - pur palesemente contrariati - hanno fatto buon viso a cattivo gioco. Da parte mia, ho cercato di trovare una soluzione rivolgendomi ad una delle sorveglianti e chiedendole se non ritenesse opportuno invitare i due genitori ad allontanarsi. Questa l'ineffabile risposta: "Io non c'entro niente, devo solo verificare che nessuno tocchi le opere esposte. Del resto (e qui arriva la solita frase italiota!) è un bambino, che ci vuole fare?". La solita storia: "sono ragazzi", "sono bambini", che ci vogliamo fare??? Ma i genitori che ci stanno a fare?? E se ti càpita di fare la visita con questi NUOVI MOSTRI, genitori-mucillaggine privi di rispetto per gli altri, incapaci di comprendere una verità lapalissiana - cioè che i bambini così piccoli vanno portati al circo o al parchetto, non alle mostre d'arte - CAVOLI TUOI. Anche se hai il diritto di godere del bene per il quale hai pagato un biglietto, spesso pure salato. E' troppo chiedere a chi organizza questi eventi, agli addetti ai lavori, agli assessori alla cultura, di istituire una semplice regola che vieti l'accesso alle mostre d'arte ai minori di 10 anni? A me parrebbe un provvedimento buono e giusto, che andrebbe a sanare l'evidente mancanza di educazione civica di molti cittadini-genitori, che si ostinano - rovinando a se stessi, ma soprattutto agli altri il piacere della fruizione artistica - a portarsi appresso bimbi piccoli, che non sono in grado di apprezzare e anzi ne sono oltremodo annoiati. Basta poco per ovviare: ci si dà il cambio se si è in due, si affida il piccolo a nonni o baby-sitter (per un paio d'ore, non è la morte di nessuno), insomma ci si organizza. Sono una crimilde mangia-pargoli se dico questo? Una sfasciafamiglie se sostengo il mio/nostro diritto a vedere in pace e silenzio una mostra? Se pretendo che le autorità facciano il loro mestiere stabilendo giuste regole? Fatemi sapere. Sono curiosa di avere un vostro parere. Ciao

giovedì 22 aprile 2010

SSST.... FACCIAMO SILENZIO

Con le orecchie ferite dal frastuono assurdo e spesso di pura maleducazione della città, mi sono chiesta: ma dove'è finita la "lotta ai rumori" che verso la primavera inoltrata era annunciata da manifesti affissi sui muri di metropoli e paesi, in cui si minacciavano multe a chi disturbava la quiete pubblica? Ve li ricordate? Erano teneri e innocui, lo so: mai nessuno ha visto vigili punire i micidiali motorini spaccatimpani o il tifoso assatanato che fa i caroselli a clacson spiegato per la vittoria della sua squadra, credendo che il mondo intero debba condividere la sua rozza esultanza (se sapesse invece quante giuste maledizioni gli si manda, smetterebbe al volo...). Quei manifesti d'antan sancivano quantomeno un principio: che il rumore fa male, che è proibito, che il codice penale punisce chi disturba gli altri facendolo. Ora non esiste più nemmeno questa foglia di fico e le nostre amministrazioni si sono arrese alla marea montante degli incivili, che fanno rumore per principio: negozi che sparano decibel come pallottole, locali con musica talmente alta da rendere impossibile la conversazione, clacson impazziti, motori che ruggiscono come animali preistorici, telefonatori peripatetici che urlano come ossessi per strada, suonerie demenziali che impazzano ovunque. E' un delirio di suoni inarticolati, dissonanti, cacofonici, assordanti, che ci segue ovunque, braccandoci anche dove un tempo eri certo di trovare un momento di pace: mezzi pubblici, cinema, mostre, treni, chiese, giardini pubblici. Mi fanno tristezza quei poveretti che corrono al parco con il filo dell'Ipod penzoloni dall'orecchio, qui dove dovrebbe regnare solo lo stormire degli alberi e i richiami dei bambini.... Ma li capisco: per difenderci dal rumore altrui, spesso ne produciamo di nostro, almeno ci scegliamo quello che più ci piace. E' un po' il meccanismo del ristorante: se qualcuno comincia ad alzare la voce a tavola, tutti gli altri avventori saranno costretti a fare altrettanto per soverchiare il rumore di fondo e così via, in un circolo vizioso che rende spesso i nostri ristoranti tristemente famosi nel mondo per il loro frastuono che costringe i clienti a gridarsi nelle orecchie, quando invece dovremmo tutti quanti abbassare la voce per ritornare a sentire, a sentirci. Che fare? Come antidoto, proporrei di boicottare tutti quegli esercizi pubblici che sparano musica a tutto volume (tra i peggiori, vorrei citare Abercrombie & Fitch di corso Matteotti a Milano, un luogo infernale, infestato da un deodorante per ambienti dolciastro che ti rimane addosso per giorni e dove la musica è insopportabilmente alta, per i clienti ma soprattutto per i poveri ragazzi che ci lavorano, minacciati da sordità precoce per troppa esposizione acustica... Ma l'Asl o l'Inail non hanno nulla da dire??). Poi, vorrei esortarvi a "rifarvi le orecchie" visitando il Bosco del Silenzio: un luogo magicamente privo di suoni umani, dove ritrovare il gusto dei rumori della natura. Tredici ettari di alberi, ronzio di api, cinguettare di uccellini, picchiettare di picchi, a Serralunga d'Alba, nella bassa Langa del Barolo, lungo un sentiero fatto di dodici tappe, dalla contemplazione al cammino, dalla meditazione al naufragio nell'infinito mare di verde... L'ideatore di questa meraviglia è Oscar Farinetti, l'imprenditore piemontese che ha creato Eataly, altra iniziativa di grande successo. Dopo aver acquistato la tenuta di Fontanafredda (quella che Vittorio Emanuele II donò alla sua amante, la Bèla Rusin...), ha deciso di conservare questo ultima foresta di Langa e di consacrarla al culto del più esclusivo dei lussi: il Silenzio. Nel bosco si può camminare, pensare, ascoltare, leggere i cartelli con brani di poeti famosi (Baudelaire, Leopardi, Whitman...), ma non fare rumore. Che splendida idea. Che magnifico regalo. Andateci. Ascoltate Sua Maestà il Silenzio, il dio sfuggente e aristocratico. Sarà un balsamo per le vostre orecchie e una consolazione per la vostra anima.

giovedì 8 aprile 2010

I CARI ANGIOLETTI

Ebbene sì. Sto per infrangere uno dei più resistenti tabù italici: quello dei frugoletti, che sono sempre oggetto di smorfie e gridolini compiaciuti, orgoglio e vanto di mamma e papà. In Italia vige un'ipocrita e irritante "mistica della famiglia", peraltro contraddetta nei fatti da una politica sorda ai suoi bisogni reali (asili nido, orari dei negozi compatibili con quelli della madre lavoratrice, assistenza a domicilio e via enumerando), nonchè dalle innumerevoli nequizie da cronaca nera che ogni giorno si perpetrano nei piccoli inferni familiari, tra le mura domestiche. Ma tant'é. Questo è una strano Paese, dove l'importante è il finto perbenismo e l'ipocrisia. Tutto questo cappello per arrivare a dire una cosa impopolare: che i bambini in Italia sono nella stragrande maggioranza i più ineducati, molesti e insopportabili del mondo. Con mamme dal sorriso estasiato che - quando il pargolo urla a squarciagola in un luogo pubblico - invece di intervenire, ti guardano con l'aria di chi cerca la tua affettuosa partecipazione: "Ma lo vedi quanto è bravo a gridare questo figlio mio?". Redarguirlo? Non sia mai! La mamma e il papà italioti sono tendenzialmente molto fieri di esibire bambini socialmente impresentabili e assai restii a educarli: una fatica bestia, scherziamo? Lasciamo che i cari angioletti si mettano le dita nel naso, strillino come ossessi, lancino la palla in faccia ai passanti, buttino le cartacce per terra! Tanto "sono bambini", che diamine! Mica vorremo già angariarli con le regole, quelle stesse che peraltro da grandi saranno esortati a non rispettare! L'educazione? Roba da vecchi nostalgici, asburgici di ritorno, fascisti e quant'altro. Le regole? Il più tardi possibile e solo se costretti con la forza. Questo è un Paese dove è per prima la famiglia a non insegnare più il rispetto della convivenza sociale. E lo fa proteggendo amorosamente i propri figli nei loro comportamenti più incivili, quando non dichiaratamente eterolesivi. Basta leggere i giornali: troppe madri che difendono a spada tratta i figli che buttano i sassi dal cavalcavia o torturano l'handicappato. "Sono ragazzi", perbacco! Oppure basta parlare con gli ultimi insegnanti che tentano ancora, disperatamente, di far rispettare la disciplina a scuola: genitori inferociti li denunciano al Tar per aver osato rimproverarli o assegnare loro un brutto voto. Lesa maestà. I figli so' piezz'e core. E non si toccano. E' una logica preistorica, da cosca, tribale. L'Italia va lentamente in rovina, corrosa dall'interno da questa pigrizia genitoriale, dall'interessata compiacenza del potere, da questa beota rassegnazione al peggio, dal familismo becero che domina incontrastato. Non esistono bambini cattivi, esistono cattivi genitori. Stiamo allevando una generazione di piccoli tiranni, abituati a fare ciò che vogliono, senza limiti nè regole nè educazione. Se penso che un giorno saranno classe dirigente, mi vengono i brividi. 

martedì 30 marzo 2010

ABBASSO I "ROTOLONI" ....... E BUONA PASQUA!

Cari amici e parenti, che stoicamente seguite le mie elucubrazioni da grafomane, lasciate che vi ringrazi! Il vostro affettuoso sguardo rende le mie suonate alla tastiera del pc meno solitarie e disperate, nel cuore della notte (io creo quasi sempre mentre i cristiani normali dormono il sonno dei giusti... ma non ditelo alla Neuro!). E' quasi Pasqua, non voglio tediarvi con argomenti troppo impegnativi, quindi vi parlerò di un dettaglio piccolo piccolo nelle nostre vite angariate dal cattivo gusto: gli animali "rotoloni" degli autogrill, quelli che quando gli passate di fianco, ignari, si mettono a ridere di risate inquietanti come quelle di Hannibal the Cannibal e a rotolare su se stessi, in preda ad una sorta di ballo di san vito. Non so cosa ne pensate voi, ma ho visto raramente dei giocattoli (?!) più orridi di questi e mi chiedo con apprensione a quale genitore sadico (di questi tempi ne girano parecchi) possa mai venire in mente di regalare un oggetto tanto assurdo a un povero bambino indifeso... Visto che state sciamando come tutti verso il solito fantozziano esodo pasquale, che vi vedrà garruli avventori di autostrade e autogrill, vi scongiuro: NON COMPRATE i "rotoloni"!!!!! Temo che nuocciano gravemente e forse irrimediabilmente al senso estetico dei vostri bambini e di certo alle nostre orecchie, straziate da queste risa agghiaccianti mentre tentiamo di bere in pace il nostro caffé... Vabbé, se proprio vi siete dimenticati di portare un regalino al figlio della zia Pina o al cugino Pierfrancesco, optate senz'altro per un più gradevole ed eterorispettoso UOVO DI PASQUA!
E con questa accorata preghiera, vi mando un augurio sincero di felice e spensierata Pasqua, con affetto

P.S.
Per par condicio, vi segnalo qui sotto l'opinione dell'agnello


giovedì 25 marzo 2010

E' PRIMAVERA... CAMBIAMO ABITUDINI

Incredibile ma vero, è arrivata anche quest'anno. Non ce la meritiamo, lo so, ma è commovente e consolante vedere di nuovo il risveglio della natura: fiori gialle e foglie lucide che spuntano miracolosamente da certi rami rinsecchiti, dove fino a pochi giorni fa si accumulavano polveri sottili e smog. Grazie, primavera. Dunque, dovremmo anche noi assecondare questo rinnovamento per liberarci di cose/abitudini dannose. Per esempio: avete notato l'incredibile quantità di oggetti che ingombrano le nostre spesso minuscole case? Un profluvio di inutile paccottiglia per produrre la quale il Terzo Mondo sta diventando più inquinato della valle della Ruhr e la classe operaia cinese è più sfruttata dello zio Tom nella Louisiana dell'800. Robetta di nessun pregio che però contribuisce al global warming, che abbiamo comprato o ricevuto in regalo da improvvidi amici, proveniente in apparenza dai quattro angoli del mondo, ma in realtà (verificate) tutta rigorosamente made in china e di pessima fattura: gatti di legno, quadretti in stile africano, collane di conchiglie, su su fino al trionfo del kitsch della gondola in madreperla o la palla con la neve ripiena della Sagrada Familia di Barcellona... Un'alluvione di inutili schifezze che ci opprime. Bisogna liberarsi. Il feng-shui, ma soprattutto il buonsenso, ci dicono che questo horror pleni ci attossica la vita, ci fa venire malesseri bizzarri, oppressi come siamo dal peso dell'inutile che ci portiamo sul gobbo. Un paio di consigli: evitate accuratamente - in preda all'entusiasmo per l'artigianato locale - di acquistare souvenirs di viaggio e, soprattutto, chiedete perentoriamente a familiari e amici di NON portarvi ricordini... Piuttosto, meglio optare per prodotti alimentari, che almeno sono biodegradabili e aiutano l'agricoltura locale! Secondo consiglio: leggetevi il libro di Mary Lambert "Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa" (Corbaccio editore, 14 euro) che spiega molto meglio di me perché basta fare un po' di vuoto nella nostra vita e nel nostro spazio per cominciare a respirare e a stare meglio. Le pulizie primaverili vi aiuteranno: buttate senza pietà. Non ve ne pentirete. Vengo al secondo consiglio. Premessa: avete notato che tra scale "tradizionali" e scale mobili, il 98% sceglie le seconde? Sono forse gli stessi che trovate durante il week end in palestra, sudati e assatanati, tra tapis roulant e pesi, cupi come dannati nel girone dantesco dei sovrappeso. Ma andare in palestra una volta o due la settimana non serve a molto, se quotidianamente non si ha uno stile di vita sano. Il che vuol dire camminare, fare le scale a piedi, non perdere occasione per muovere la gambe. Tutto il contrario di questi atleti della domenica, che con le loro saltuarie attività pseudo sportive, inframmezzate da abbondanti razioni di automobile, cibo e libagioni, rischiano pure il classico "colpetto".... Non serve fare gli scongiuri di rito: bisogna cambiare vita. Approfittiamo della bella stagione per farlo: bando a scale mobili e mezzi a motore, largo alle passeggiate, ai gradini e all'aria aperta. Funziona.

giovedì 11 marzo 2010

8 MARZO E LA SINDROME DEL POLLAIO

Siamo felici, noi donne, dei 6 Oscar assegnati a Kathryn Bigelow, guardacaso proprio il fatidico 8 marzo? Personalmente, non capisco gli hurrà di giubilo. La signora è certamente brava e bella, ha avuto anche la soddisfazione non piccola di prenderne due (di statuette) più dell'ex-marito, agguerritissimo concorrente con il suo kolossal "Avatar". Sono cose - come dice una pubblicità - che non hanno prezzo. Ma il contentino dell'8 marzo, diciamocelo, comincia a sapere di muffa. Intanto ci fanno sapere (fonte Istat) che le donne qui in Italia - lo sfasciume pendulo in mezzo al Mediterraneo - a parità di mansioni, guadagnano il 20% in meno rispetto agli uomini e in compenso lavorano in casa il 40% in più, cosa della quale peraltro ci eravamo accorte anche da sole. Cosa manca dunque a noi tutte per sfondare il soffitto di cristallo che ci tiene sempre "sotto"? A mio parere, un paio di cosette di non facile soluzione, in quanto entrambe profondamente connaturate nella cultura subalterna che ci viene inflitta fin da bambine: 1) che per farsi largo nella vita bisogna essere sessualmente attraenti, mentre ai nostri colleghi uomini è concesso di essere serenamente grassi o calvi o banalmente inguardabili senza che questo incida minimamente sulla loro aspettativa di carriera. Mi irrito sempre quando qualcuno commenta in senso estetico una donna politica o una scienziata, come se il requisito della bellezza fosse un elemento di giudizio professionale. Ma vi siete visti???? 2) che le altre donne sono nemiche da cui guardarsi. E' un tasto delicato, ne sono consapevole, ma è ora di parlare apertamente dell'invidia e della gelosia che proviamo per le altre donne, più belle o più brave o più fortunate di noi. E della nostra tragica incapacità di fare squadra, di essere solidali. Un esempio? Uno banale, ma diffusissimo. Ho più volte sentito dire, anche da persone acculturate, che in caso di tradimento del marito le maggiori vendette sarebbero state riservate all' "altra". Strano, no? Il patto di fiducia l'abbiamo con un lui, è lui che ci tradisce, ci nega, ci fa sentire rifiutate, ci offende, ma noi le nostre invettive le riserviamo principalmente a LEI, la rubamariti, la sfasciafamiglie, la puttana. Riflettiamoci: sembra una cosa da poco, ma dentro questo odio c'è tutto il nostro sentirci gregarie, incapaci di avere con il maschile il rapporto di pari dignità che dovrebbe essere normale. Per questo ce la prendiamo, stoltamente ma significativamente, con un'altra donna, invece di rompere una vaso da fiori sulla testa di lui, unico traditore del nostro amore e della nostra fiducia. Concludo questa mia riflessione un po' amara invitandovi/mi - ogni volta che proviamo invidia o gelosia verso una donna - a chiederci se in quel momento non stiamo ancora una volta ribadendo la nostra "sindrome del pollaio": beccarci tra noi per avere l'attenzione del gallo.

martedì 2 marzo 2010

UN PRIMO MARZO SU CUI RIFLETTERE

Oggi, mentre passeggiavo per Milano, notavo qualcosa di strano nel paesaggio umano: non c'erano vecchietti malfermi sostenuti da badanti, né bambini in passeggino spinti da signore di colore, né i soliti crocchi di colf multicolori che si fanno compagnia mentre i cani loro affidati corrono festosamente sui prati spelacchiati che la città avara può offrire... In compenso, vedevo molti figlioletti stranamente affidati a nonne un po' spaesate, e molti altri da soli - come se fosse giorno di vacanza scolastica - a giocare a pallone nel parco. Mentre col retrocranio registravo queste strane immagini, così poco consuete, mi domandavo cosa mai avesse potuto produrre un cambiamento tanto drastico.... Poi, ho letto il giornale. Ma certo! Oggi era il primo giorno di sciopero dei lavoratori extracomunitari, un nome orribilmente burocratico per definire tutte quelle persone che da anni risiedono nel nostro Paese e ci assistono in mille necessità, svolgendo lavori e prestando cure di cui non vogliamo più occuparci. Proprio loro, i silenziosi compagni delle nostre vite, quelli che puliscono le nostre case, sorvegliano le portinerie dei nostri bei palazzi, crescono i nostri figli mentre noi siamo impegnati a fare carriera o, molto più semplicemente, guadagnarci da vivere, accudiscono i nostri vecchi ai quali non abbiamo più spazio e tempo da dedicare. E' inutile girarci attorno: da tempo i nostri stili di vita ci hanno imposto di separarci dalle persone più fragili e bisognose di cure, i soggetti sociali che - non avendo più o non avendo ancora la capacità di produrre reddito (unica attività degna di rispetto in questo contesto storico-economico) - vengono relegate a cure mercenarie, per permettere a noi di produrlo, questo maledetto reddito: i nostri figli, i nostri padri, le nostre madri, cioé il nostro futuro e il nostro passato, due dimensioni che hanno sempre meno spazio e rilevanza nella società attuale, che vive di un ossessivo presente consumante. Conosco casi di paradossale, cosmica iniquità, dove baby sitter cingalesi sono costrette dal bisogno ad abbandonare i loro bambini in patria per venire qui a curare i nostri, dilaniate dal dolore e dalla nostalgia: bambini che non vedranno crescere, esattamente come noi, che i nostri li vediamo solo alla sera, per un tempo breve e già esausto dalla lunga giornata. Io non so, davvero, come e cosa dovrebbe cambiare in questo stato di cose paradossale e tragico: il problema è troppo grande e complesso. Ma di certo so che questo primo marzo ci deve far riflettere su come siamo ridotti tutti quanti. E chiederci se è giusto, se è immutabile, se è umano. Per questa volta, non ho suggerimenti da dare nè a me, nè a voi, se non quello, umile e sommesso, di tenerci da conto queste persone preziose e lottare perchè ci sia un futuro più giusto in cui possano tornare dai loro genitori, dai loro figli lontani. E noi dai nostri.

lunedì 22 febbraio 2010

PEDONI DI TUTTO IL MONDO... INCAZZATEVI!

Un tempo lontano, i marciapiedi erano luoghi sacri, dove il pedone si sentiva tranquillo e andava sicuro per la sua strada, fischiettando. Ora i marciapiedi sono pieni di insidie, quasi peggio delle strade, perché ci promette un'illusoria protezione che non ci offre più. I nostri "nemici" sono tanti: ciclisti con il cellulare all'orecchio e una mano sola sul manubrio che - non osando più affrontare la sede stradale loro riservata, ormai diventata una jungla assassina - si tuffano distratti tra i pedoni, facendo pericolosi slalom; poderose Cayennes (nome inquietante... I proprietari saranno ex-ergastolani sfuggiti al penitenziario più famoso del mondo? Certe volte vien da pensarlo) parcheggiate con arroganza anche su cordoli alti 30 cm o più; monopattini guidati spericolatamente da pargoli con casco d'ordinanza, ziz-zaganti tra pedoni che ne sono sprovvisti, poveretti; passeggini da combattimento, equipaggiati di optional peggio delle auto di James Bond, portati in giro con aria aggressiva da mamme-guerriere che attraversano la città a tutta birra, con cellulare all'orecchio e passeggino contundente (ma penseranno che la condizione di maternità le sollevi dal rispetto delle regole?); senza contare i "normali" ostacoli che rendono il cammino del pedone in città un vero e proprio percorso di guerra: ponteggi, lavori in corso, ordinario e inarginabile parcheggio libero di ogni genere di veicoli, in posizioni spesso acrobatiche.
E per finire, un fenomeno che riguarda indifferentemente città e paesi: la progressiva cancellazione del marciapiede stesso, come luogo "che non rende", sempre più sacrificato sull'altare delle irresistibili, ma soprattutto remunerative, esondazioni della speculazione immobiliare, che - come un termitaio - sta corrodendo dall'interno il nostro vivere comune, occupando militarmente ogni spazio.
Che fare? Non molto, purtroppo. A mio parere, non resta che organizzarci (che so, potremmo fondare il movimento "Pedoni incazzati", o "Giù le gomme dal marciapiede", ad esempio) e andare a difendere le nostre sacrosante ragioni presso gli enti che - almeno in teoria - dovrebbero stare dalla nostra parte: Comuni, Province, Regioni, Associazioni. Ma mentre i ciclisti l'hanno fatto e sono diventati una potente lobby che ottiene ascolto, noi pedoni siamo veramente gli ultimi proletari, totalmente senza potere. Quindi, PEDONI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI! Ma prima, INCAZZATEVI, naturalmente... E fatemi sapere se siete pronti a fondare il nostro movimento.
Alla prossima!

mercoledì 17 febbraio 2010

LE FRECCE? ORMAI LE USANO SOLO GLI INDIANI

Cari e affezionati lettori, vi parrà un argomento futile, ma oggi vi voglio parlare delle frecce... No, non quelle dei film western, ma le banali, umili, inoffensive frecce direzionali delle nostre auto. Vi sarete accorti anche voi che l'uso di questi dispositivi ha subìto - negli ultimi anni - un incomprensibile calo: sembra che indicare a chi ci sta attorno le nostre intenzioni di marcia sia diventato un fastidioso e ridicolo gesto un po' démodé, come togliersi il cappello quando si saluta una signora o mettersi le galosce quando piove. Una faccenda da vecchie dame incipriate o attempati damerini d'antan, assolutamente disdicevole in un mondo come il nostro, che va di fretta e disprezza le buone maniere. Voglio spezzare una lancia per difendere la freccia... Passatemi il calembour. La freccia è utile, impedisce che l'automobilista che sta dietro di te - di solito a una spanna di distanza, in barba a qualunque regola - sia costretto a inchiodare per non sfondarti il retro quando all'improvviso decidi di girare a sinistra, o per far capire a chi attende pazientemente di immettersi che tu svolterai a destra e quindi non lo ostacolerai o, ancora, è un indispensabile strumento di sicurezza quando sei in autostrada a velocità sostenuta e ogni scarto di direzione può rappresentare un potenziale pericolo... Qui veramente la freccia è fondamentale per salvaguardare la vita di tutti. Per questo è davvero incomprensibile notare come la stragrande maggioranza degli automobilisti si dimentichi colpevolmente di farlo, sottovalutandone l'importanza. Mi è capitato spesso di fare le luci a questi "sbadati" (spesso quelli che se ne fregano dei limiti di velocità e filano come missili sui loro Suv da combattimento) e - quando mi guardano interrogativi nello specchietto retrovisore per capire che cavolo voglio - far loro il gesto con la manina a dita alternativamente chiuse e aperte ("metti la freccia, amico!"): loro mi sfanculano, ma io rispondo con un sorriso angelico. Perché essere cortesi quando guidiamo e far sapere al mondo quale direzione intendiamo prendere non è un segno di debolezza: è un segno di civiltà.
Ciao... e ricordatevi che le frecce non le usano solo gli indiani!
Alla prossima, amici!

giovedì 4 febbraio 2010

"DICA, DUCA" E I SALUTI SBAGLIATI

Milano, e in generale la Lombardia, non hanno fama di gran simpatia... Basta farsi un giro in metrò, certe mattine d'inverno: musi lunghi, facce ostili, grinte da paura, saluti o sorrisi guardati con sospetto. Ma le artefici principali di questa nomea non proprio invitante sono le commesse, anche e soprattutto quelle del "quadrilatero della moda", quelle che ti fanno la Tac visiva quando entri per capire se sei una pezzente capitata per caso nel tempio del made in Italy e che infallibilmente ti apostrofano con un arcigno: "Dica", a muso duro, con l'aria di chi ti manderebbe volentieri a quel paese. DICAAA???!!!??? Eh no, carina: tu per prima cosa mi devi salutare, poi devi pronunciare un civilissimo e doveroso: "Mi dica pure, Signora", seguito da un bel sorriso di accoglienza. Hai mai pensato, commessa screanzata, che il tuo stipendio non te lo paga lo stilista di grido, ma i clienti che ti permetti di svillaneggiare? E poi, andiamo, anche se il fidanzato ieri sera ti ha fatto incazzare, stamattina la pioggia ha rovinato il lavoro del tuo parrucchiere o ti è arrivata l'ennesima multa, IO CHE C'ENTRO? A questo genere di personaggi, provate a rispondere con l'esilarante e surreale dialogo di "Totò lascia o raddoppia".. Non ve lo ricordate? Eccolo qui: "Dica, Duca" "No, dica, duca lo dico io. Lei dica duca e io dico dica" "Allora io dico duca" "E io dico dica" "Duca..." "Dica". L'effetto spiazzante è garantito. La commessa vi guarderà come un alieno sbarcato sul bancone con la sua astronave. Forse chiamerà la Neuro. Ma vuoi mettere, che soddisfazione! E poi, forse, con il tempo, dai e dai, anche questo indisponente incipit scomparirà.
Altro capitolo dei "saluti sbagliati" è riservato a quelli che - credendo di fare i fighi o gli originali - rispondono al buongiorno o buonasera con l'irritante "Salve". Ma che, siamo nell'antica Roma? Allora, piuttosto, rispondimi con un bell' "Ave", di gran lunga più gradevole! Anche qui, spiazzateli: al "salve", rispondete pronti "regina"... Per chi di voi non frequenta, sappiate che si tratta della formula che si recita all'inizio e alla fine del rosario. Un po' démodé, ma efficace. Vedrete, smetteranno.
Alla prossima!

lunedì 1 febbraio 2010

IL MOTORE ACCESO

Da un po' di tempo, soprattutto in questo inverno così rigido, sto notando il rinascente fenomeno del "motore acceso": la gente - fregandosene del riscaldamento globale, delle polveri sottili, del costo esorbitante della benzina, del sacrosanto diritto di noi tutti a respirare - si ferma a lato della strada, o nel parcheggio del supermercato, o sotto la scuola del figlio, o sotto casa, con il motore acceso. Non per i pochi secondi necessari a una partenza prudente: per decine di minuti. Mentre la moglie fa la spesa, mentre il marito cerca gli occhiali su in casa, mentre il bambino si mette in fila prima di uscire da scuola, mentre l'amico scende a comprare il giornale... Così, per non fare la fatica di girare la chiavetta dell'accensione o per altri imperscrutabili motivi che sfuggono alla ragione. Mi pare che i motori attuali non abbiano più bisogno di essere accesi un po' prima di muovere le ruote, come una volta, e che "scaldare il motore" sotto le case per un quarto d'ora, quando le nostre città sono già delle camere a gas, sia veramente una manifestazione di grande inciviltà, e - se mi passate il termine un po' forte - di grande idiozia. Già continuare a usare l'auto per andare a stare fermi in coda nel centro delle nostre città congestionate dimostra una cocciutaggine refrattaria a qualunque ragionamento, ma tenerla accesa per niente è troppo. Ho notato con disappunto che lo fanno anche quei soggetti "istituzionali" che per primi dovrebbero dare il cosiddetto "buon esempio": ho visto qualche giorno fa un'auto dei carabinieri ferma - giuro - per oltre 30 minuti a motore acceso a lato di via Vincenzo Monti, a Milano, per misteriose ragioni. E due giorni dopo un furgone della polizia in via Ariosto che ha sputato fumo per 45 minuti, perfettamente fermo, per nessun motivo apparente. Che dire? "Chi tiene il motore acceso avvelena anche te: digli di smettere". Ebbene sì, anche se sono le forze dell'ordine. In attesa che arrivino le nuove tecnologie "start and stop" (cioé i motori intelligenti - loro sì - che spengono e accendono automaticamente il motore) cerchiamo con garbo di far capire ai nostri cari compatrioti che la sosta a motore acceso è roba da anni sessanta, quindi "da vecchi". Vedrete, lo spauracchio farà il suo effetto: in Italia, più nessuno vuole sentirsi vecchio, tutt'al più "diversamente giovane"... Fatemi sapere. Ciao a tutti!

domenica 24 gennaio 2010

Cari Amici, grazie per il vostro prezioso incoraggiamento!
Da oggi, ogni settimana, aggiungerò un piccolo commento su quanto di negativo, sciatto e deprimente osservo attorno a me.

Oggi vi parlerò di

FIORIERE

Forse non ci avrete mai fatto caso, ma le fioriere che tentano di abbellire i nostri centri abitati (spesso non riuscendoci) sono spesso utilizzate dai passanti come portacenere. Soprattutto d'inverno, quando le povere piantine che ospitano sono al minimo della loro vegetazione, potrete osservare un numero impressionante di mozziconi di sigaretta e pacchetti vuoti, gettati lì con noncuranza. Ma perché, dico io, buttarli proprio in questi contenitori, nati per portare almeno un'ombra di bellezza in luoghi spesso tristissimi? Non esistono cestini? Certo che esistono. Ormai anche nel più sperduto paesino l'assessore all'urbanistica locale si fa un punto d'onore di dotare il centro abitato di manufatti, pomposamente definiti "arredamento urbano". Ok, non sono quasi mai degli oggetti sobri e funzionali, spesso si tratta di cose che paiono concepite da un architetto sotto l'effetto dell'Lsd, ma esistono, perbacco, e quindi perché non usarli? E' un mistero. Molti, troppi nostri concittadini li disdegnano per andare a buttare la loro cicca o il loro pacchetto di sigarette vuoto, ben appallottolato, nelle povere fioriere, già tanto provate dalla brutta stagione e dalle intemperie.
Fateci caso.
Io, per parte mia, ho deciso che - semmai vedessi uno di questi spregiatori di cestini - non esiterò a farglielo notare: "Scusa, ma perché proprio nella fioriera? Si chiama così perché deve contenere fiori, sennò si sarebbe chiamata sigarettiera o pacchettiera, ti pare?".
Voi che ne dite, faccio bene o no? E avete voglia di diventare anche voi "difensori delle fioriere"?

Un ciao a tutti

giovedì 21 gennaio 2010

Perché questo blog?

Mi affaccio, con qualche emozione, nel grande mare del web: riuscirà la mia barchetta a navigare nelle sue acque tumultuose? E perché affidare a questo fragile mezzo le mie buone intenzioni? Perché ho qualcosa da dire di importante. Se questa convinzione sia fondata o meno me lo direte voi, postando (o non) i vostri commenti. La frase che ho scelto come claim del mio blog riassume il senso di quello che mi propongo. "Se pulisci davanti alla tua porta, tutta la città sarà pulita". Non si tratta solo di ambiente. Sentiamo ogni giorno lamenti e rammarichi su "come va il mondo": male, malissimo, niente é come lo vorremmo, siamo allo sprofondo, peggio di così non può andare.... Ma quasi nessuno si pone la domanda: questo mondo da chi é fatto? Non é forse a nostra immagine e somiglianza (tanto per fare una citazione che tutti conosciamo...)? Ecco perché mi sono decisa a mettere nero su bianco le mie osservazioni, i miei commenti, le mie riflessioni su COME POTREMMO TUTTI INSIEME TRASFORMARE QUESTO MONDO IN UN MONDO MIGLIORE, semplicemente CAMBIANDO LE NOSTRE ABITUDINI SBAGLIATE, I NOSTRI ATTEGGIAMENTI MENTALI SCORRETTI, LE NOSTRE PICCOLE/GRANDI PIGRIZIE. Troppo comodo - e spesso inutile - aspettare che la soluzione arrivi dall'alto: i nostri amministratori, i nostri padroni del vapore, le cosiddette "autorità" sono troppo impegnate nella ricerca o nella gestione del potere per badare a tutti quei dettagli che fanno la nostra vita migliore o peggiore. Un esempio? Guardatevi attorno: le nostre città, le nostre strade, le nostre campagne sono sempre più ingombre di ogni genere di immondizia, che nessuno sembra degnare di uno sguardo. Vi sembra un'inezia, rispetto ai problemi globali? Non é così. Degrado chiama degrado e dove prima c'era "solo" un sacco pieno di rifiuti, poi ne troveremo altri due, poi qualche pnumatico, poi le batterie di un'auto e il gioco é fatto. Quel luogo diventerà off limits. E deprimente da guardare. Il degrado - anche se non ce ne accorgiamo - produce depressione e induce alla tristezza. Che dipenda anche da questo il malumore generalizzato che avvertiamo dentro e fuori di noi?
Non voglio farla troppo lunga. Avremo modo e tempo di scambiarci opinioni su "cosa possiamo fare noi, in prima persona" per migliorare il nostro habitat: in casa, per le strade, nelle città, nelle nostre relazioni interpersonali, in viaggio, in città, al lavoro...
Seguitemi, se la cosa vi interessa.
Possiamo farcela. Cambiamo noi. E il mondo cambierà con noi.

Un saluto a tutti, in attesa dei vostri post!

Gabriella